Quando penso all’invenzione o all’atto di inventare, la mia mente disegna una linea di sviluppo narrativo che fa più o meno così: una persona ha un’illuminazione, si spreme le meningi e inventa – o scopre – qualcosa.
Questo modo elementare e collettivo di immaginare la nascita di un evento deve la sua esistenza alla maniera in cui ci sono tramandate e raccontate le storie, una metodologia che impiega fabbricati di leggende e aneddoti metaforici per aiutarci a semplificare e meglio comprendere i fenomeni; prendiamo ad esempio la storia della scoperta del concetto di gravità di Newton… Secondo William Stukeley, amico di Newton che ne scrisse la biografia nel 1752 – Memoirs of Sir Isaac Newton’s Life, la concezione della teoria della gravitazione universale “Avvenne mentre [Newton] sedeva in contemplazione, a causa della caduta di una mela”.
La mela gli sarà davvero caduta in testa? Davvero quel fenomeno costrinse il nostro a chiedersi, dal nulla e per la prima volta: “Perché [la mela] cade sempre verso il centro della Terra, e non trasversalmente o verso l’alto?”.
O forse Newton, che era uno scienziato e un intellettuale brillante, arrivò alla sua intuizione non tanto per via della caduta della mela ma grazie allo stimolo tangente offerto dagli studi e dalle via aperte da altri, come ad esempio le tre Leggi di Kepler?
Tutto questo per dire che nella nostra immaginazione le connessioni tra le storie non hanno mai molta importanza ed è così che si creano i ritratti di grandi uomini e donne solitarie, colti da geniali epifanie come campi di grano colpiti dai fulmini in estate.
Secondo l’immaginazione elementare, un giorno Bob Moog se ne stava solo-soletto nel suo scantinato ad assemblare kit di theremin quando, d’improvviso, gli venne in mente che sarebbe stata una buona idea impiegare in un qualche modo il controllo in voltaggio per costruire un nuovo strumento musicale: et voilà, nacquero i primi moduli Moog.
Sarebbe senza dubbio divertente immaginare questa versione degli eventi… Ma la storia vera ci racconta qualcosa di ben più fenomenale.
Nei primi anni Cinquanta, Moog – che era radioamatore ed ingegnere – non era per nulla interessato all’elektronische musik di Colonia né alle musiche delle avanguardie che, semplicemente, non facevano parte del suo mondo. Nell’inverno del 1963 Bob fu invitato da Walter Sear a esporre il suo stand di theremin durante un evento della Eastman School of Music. Qui conobbe Herbert Deutsch, musicista e insegnante che stava impiegando uno dei theremin kit di Moog per insegnare ai suoi allievi l’esecuzione vocale di brani mai sentiti prima (sight singing). Come riportano i sempre magici Pinch & Trocco nel loro Analog Days, the invention & impact of the Moog Synthesizer in quell’occasione Deutsch chiese a Moog: “Do you know anything about electronic music?” e lui rispose: “Sure!” ma la sua risposta fu giusto una parola d’effetto, un’affermazione per toglierlo dall’imbarazzo della confessione del non sapere. Fu così che la conversazione tra i due poté proseguire e fu così che Deutsch invitò Moog a un suo concerto a New York – l’evento si teneva nel loft dello scultore Jason Seley al Greenwich Village – dove eseguì Contours and Improvisation for Sculpture and Tape Recorder. Ricorda Moog: “It was absolutely the most exciting musical performance I had ever seen up until then. I hadn’t seen that much, before rock”.
Immediatamente dopo quel concerto, Deutsch e Moog cominciarono a parlare di un nuovo strumento: “We didn’t call it a synthesizer… What we were talking about is a sort of portable electronic music studio”.
La nascita dei primi sintetizzatori commerciali seguì sempre questo corso: i nuovi strumenti di rado uscirono dritti dritti dalla mente degli inventori (di queste eccezioni fanno parte Hugh Le Caine, che li sviluppava per se stesso, o Raymond Scott, anche lui artefice dei supplementi ai suoi bisogni) perché furono concepiti per rispondere alle richieste di alcuni compositori che, prima di altri, reclamarono le necessità tecnologiche per l’avanzamento della ricerca musicale.
L’epoca in cui viviamo è un calderone di Capitale sobbollente: i grandi brand che si occupano di strumenti per la nuova musica – software inclusi – sono per lo più irraggiungibili, rivolgono di rado le loro attenzioni ai bisogni dei singoli compositori, inseguono il passo della dittatura tecnologica (“Ops! Il tuo sistema operativo non è più supportato”), corteggiano e fabbricano le tendenze di mercato (improvvisamente hanno tutti bisogno di un Model D… della Behringer) e le necessità presupposte dalla massa dei consumatori.
Fortunatamente, in queste trafficate autostrade del consumo impersonale esistono ancora delle eccezioni: non si tratta di miraggi ma di realtà concrete capaci di rovesciare ogni amarezza e di aprire uno squarcio di speranza. Una di queste è SOMA Laboratory, fondata da Vlad Kreimer nel 2016 dopo il successo del synth LYRA-8; con sede operativa tra Russia e Polonia, SOMA “celebra l’arte che ci consente di bilanciare le interazioni tra individui, culture, discipline, regioni e nazioni in tutta la loro ricca diversità” e uno degli obiettivi chiave espressi nella mission del brand – leggila qui per scioglierti il cuore – è di “coltivare e sviluppare relazioni reciprocamente vantaggiose”.
Per SOMA l’arte “è la migliore disciplina integrativa per comprendere ed esplorare l’evoluzione della coscienza”, “uno spazio sicuro e sperimentale per esplorare argomenti complessi”, capace di “riunire le persone in relazioni giocose e collaborative, integrando le reciproche esperienze e permettendoci di crescere collettivamente e individualmente”.
Se desideri approfondire il pensiero del fondatore di SOMA, Vlad Kreimer, è appena uscito in freedownload il suo libro Redefining Conscience in an Era of Rapid Change scaricabile qui o in versione epub.
Se ancora non li conosci, ti suggerisco di fare una visita al loro sito web e di esplorare i dispositivi musicali di SOMA: c’è qualcosa di molto profondo, qualcosa che va oltre al valore dell’innovazione che trasuda da ogni circuito prodotto… È l’attenzione alla possibilità di andare oltre, è quel fattore che spinge a creare uno strumento per mettere le persone nella condizione di sviluppare la musica contemporanea e i suoi linguaggi sperimentali…
È con grande piacere e onore, che L’Impero della Luce ha avviato una collaborazione con SOMA per arricchire i nostri live set di nuove sonorità ed esplorare tutte le potenzialità che Ether può offrire. Ether è uno strumento nato per esplorare i suoni elettromagnetici di città e ambienti urbani, un modo per rivelare la voce segreta di quella che Vlad ha definito “una foresta elettrica”.
Come riportato nel sito di SOMA Laboratories:
“Ether è una sorta di anti-radio. Invece di essere sintonizzato su una specifica stazione radio, riceve tutte le interferenze e radiazioni che una radio tradizionale tenta di eliminare per creare un segnale pulito. Cattura le onde radio “così come sono”, dagli hertz ai gigahertz. Ciò rende Ether capace di percepire l’invisibile paesaggio elettromagnetico che gli umani hanno creato non intenzionalmente, facendo così vivere la pratica dell’ascolto e dell’incisione dei campi elettromagnetici”.
Visita la pagina dedicata a Ether qui: https://somasynths.com/ether/
Nelle prossime settimane vi proporremo qualche nuovo esperimento.
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